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Camminando per Carimate | CO

Oggi avevo voglia di perdermi per un paese qualsiasi, possibilmente nuovo. A Carimate c’ero passata qualche anno fa per lavoro, ma non mi ero mai concentrata su quello che il paese offriva. Così sono arrivata in macchina e ho parcheggiato proprio in centro, facendo partire il mio giro a piedi. Sono partita dalla Chiesa di…

Oggi avevo voglia di perdermi per un paese qualsiasi, possibilmente nuovo. A Carimate c’ero passata qualche anno fa per lavoro, ma non mi ero mai concentrata su quello che il paese offriva. Così sono arrivata in macchina e ho parcheggiato proprio in centro, facendo partire il mio giro a piedi.

Sono partita dalla Chiesa di San Giorgio e dell’Immacolata Concezione. La dedicazione doppia — a San Giorgio, figura di forza e coraggio, e all’Immacolata Concezione, simbolo di purezza e protezione materna — si percepisce nel carattere stesso della chiesa. Da un lato, il senso di solidità, di fede che resiste e combatte; dall’altro, una dolcezza spirituale, una presenza rassicurante che avvolge l’ambiente. Le decorazioni e le immagini sacre non sovrastano lo spazio, ma lo accompagnano, suggerendo più che dichiarando. L’altare diventa naturalmente il cuore della chiesa: non solo punto focale architettonico, ma luogo simbolico in cui generazioni di carimatesi hanno portato speranze, paure, promesse e ringraziamenti. È facile immaginare battesimi, matrimoni, funerali, feste solenni e messe feriali, tutte stratificate come una memoria invisibile che permea l’aria. La Chiesa di San Giorgio e dell’Immacolata Concezione non è soltanto un edificio sacro: è una testimone silenziosa della vita del paese. Racconta una fede quotidiana, fatta di gesti semplici, di preghiere sussurrate, di candele accese senza clamore. Uscendo, ci si volta quasi istintivamente a guardarla ancora una volta, con la sensazione di aver attraversato non solo uno spazio, ma una storia condivisa.

Dietro alla chiesa c’è la Piazzetta Anselmo Cattaneo, medaglia d’argento al valore militare durante la Prima Guerra Mondiale e sindaco di Carimate dal 1957 al 1965.

Il Municipio – come direbbe Valerio Fazio (in arte Revelio Zaifa di Svaresando) é giallino al punto giusto.

Si arriva facilmente anche al Castello di Carimate, che non nacque come dimora elegante, ma come sentinella. All’inizio del X secolo, quando le campagne erano percorse da eserciti, razzie e paure improvvise, la sua prima forma fu quella di una fortificazione severa, costruita per controllare il territorio e offrire rifugio alla popolazione. Mura spesse, torri compatte, un perimetro chiuso: Carimate era un baluardo, non un ornamento. Il tempo, però, non scorre mai senza lasciare tracce. Tra il XII e il XIII secolo, il castello entrò nel grande gioco politico del Medioevo lombardo. Fu coinvolto nei conflitti tra Como e Milano, due città rivali che si contendevano potere e influenza. In quegli anni le sue mura conobbero il rumore delle armi, il frastuono degli assedi, il fumo degli incendi. Ogni pietra posata era una risposta alla minaccia, ogni torre un gesto di sfida. Poi venne il momento della trasformazione. Con l’avvento dei Visconti, signori di Milano, il castello perse lentamente il suo carattere esclusivamente militare. Le esigenze del potere cambiarono: non bastava più difendersi, bisognava rappresentare. Le strutture furono ampliate, gli spazi interni resi più confortevoli. Il castello cominciò a somigliare a una residenza, pur mantenendo l’aspetto austero di chi non ha dimenticato la guerra. Il vero mutamento, però, arrivò nei secoli successivi, quando Carimate passò nelle mani di famiglie nobiliari che ne fecero un luogo di vita e di prestigio. Le torri non vegliavano più su soldati, ma su giardini; i cortili non risuonavano di passi armati, bensì di conversazioni e musica. Le mura, un tempo difensive, divennero cornice di un’esistenza più raffinata, quasi contemplativa. Il castello imparò allora un nuovo linguaggio: quello della residenza signorile. Gli interni si arricchirono, gli spazi si aprirono alla luce, e l’edificio smise di essere solo un rifugio contro il mondo, diventando parte di esso. Era una metamorfosi lenta, come tutte quelle che durano. Nel Novecento, dopo secoli di silenziosa presenza, Carimate conobbe un’ultima rinascita. Restaurato con attenzione, fu trasformato in hotel e luogo di ospitalità, senza cancellare la propria anima storica. Le sue mura continuarono a raccontare ciò che erano state, ma impararono ad accogliere nuovi ospiti, nuove storie, nuovi sguardi.

Di grande importanza c’è anche il Santuario della Madonna dell’Albero. All’origine di tutto c’era poco più di un sentiero e una piccola cappella rurale, costruita ai margini dell’abitato di Carimate. Intorno, campi coltivati, stagioni lente, il ritmo della terra. In quel punto semplice e appartato era custodita un’immagine della Madonna accompagnata da un Angelo, una figura che parlava di protezione e di vigilanza, più che di gloria. Era una devozione domestica, quotidiana, affidata a chi passava e si fermava un momento. La gente del luogo iniziò a tornare. Tornava per chiedere, per ringraziare, per trovare pace. Non servivano grandi parole: bastava accendere una candela, posare lo sguardo sull’immagine, restare in silenzio. Così, senza clamore, la cappella divenne un punto fermo nella vita della comunità, un luogo dove il sacro si intrecciava alla fatica dei giorni. Col tempo, quel piccolo spazio non bastò più. La devozione lo fece crescere, lentamente, come crescono le cose necessarie. Le mura vennero ampliate, la struttura trasformata, ma senza perdere il carattere originario. Il santuario prese forma non come un monumento, ma come una casa più grande, costruita per accogliere. Entrando, si ha ancora oggi la sensazione di varcare una soglia diversa dal mondo esterno. La luce è misurata, gentile. Non invade, ma accompagna. Le pareti sembrano trattenere il respiro di chi è passato prima, come se ogni preghiera avesse lasciato un’eco sottile. L’immagine della Madonna dell’Angelo non domina lo spazio: vegli, semplicemente. È una presenza che non impone, ma resta. Nei secoli, il santuario è stato testimone di paure e speranze: raccolti incerti, malattie, partenze, ritorni. Qui si veniva quando il futuro faceva paura e quando il passato chiedeva gratitudine. Era il luogo dove affidare ciò che non si sapeva dire altrove. Ancora oggi, il Santuario della Madonna dell’Angelo conserva questa vocazione. Non è cambiato nel suo cuore. È rimasto un posto di sosta, di ascolto, di silenzio. Un luogo che non chiede di essere visitato, ma abitato, anche solo per pochi minuti.

Per chi volesse fare un po’ di sport all’aperto, c’è la pista ciclopedonale Andrea Brotto, ideale per chi vuole passeggiare o andare in bicicletta in questa zona.

Io ho poi proseguito sul sentiero segnalato che porta al Parco della Brughiera Briantea e da lì si possono percorrere tanti sentieri diversi, tutti ben segnalati dalla cartellonistica presente. Come sappiamo, ci sono tanti ingressi al parco ed io personalmente sono entrata da quello di Montesolaro. Da qui puoi arrivare a Villa Ferranti, puoi fare il Cammino di San Pietro, puoi raggiungere la Cascina Sant’Agata, la Cascina Vismara, puoi fare il sentiero che ti porta alle scuole di Figino Serenza, il sentiero per la Cascina Barnicocca, arrivare alla Cascina Bassetta e la Cascina Moia.

Sono poi tornata alla macchina, ho parcheggiato in Piazza Castello. Proprio qui si può notare il Centro Commerciale di Carimate: una piccola corte con i tipici negozi di paese tutti concentrati qui, come ad esempio il parrucchiere.


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