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Chiesa dei santi Simone e Giuda | Cermenate | CO

Immagina di arrivare nella piccola frazione di Montesordo, appena fuori dal centro di Cermenate. Le case si stringono tra loro in un intreccio di corti antiche e stradine tranquille, dove ancora si percepisce un ritmo più lento, quasi contadino. E proprio qui, nel cuore del rione, sorge la chiesetta dei Santi Simone e Giuda. Non…

Immagina di arrivare nella piccola frazione di Montesordo, appena fuori dal centro di Cermenate. Le case si stringono tra loro in un intreccio di corti antiche e stradine tranquille, dove ancora si percepisce un ritmo più lento, quasi contadino. E proprio qui, nel cuore del rione, sorge la chiesetta dei Santi Simone e Giuda.

Non è una chiesa monumentale, non vuole impressionare. Si presenta invece con la semplicità delle cose sincere: una facciata “a vela”, pulita, essenziale, che sembra alzarsi come una tenda verso il cielo. Due lesene la incorniciano come a sostenere silenziosamente la sua storia, e un piccolo rosone illumina l’interno nelle ore chiare del giorno. A lato, discreto ma presente, si alza il campanile: il corpo intonacato, la cella campanaria in mattoni a vista, come un segno dell’antica manualità locale.

Varcando la soglia si entra in uno spazio intimo, raccolto. L’aula è semplice, quadrangolare, e l’abside semicircolare chiude lo spazio come un abbraccio. Le due cappelline laterali — anch’esse tondeggianti — danno un ritmo armonioso all’ambiente. Tutto è misurato, pensato per la preghiera silenziosa più che per la solennità.

Ma ciò che colpisce davvero non è l’architettura: sono i dettagli che parlano delle persone che qui, generazione dopo generazione, si sono incontrate, hanno pregato, hanno cercato conforto.

C’è una statua lignea di San Rocco, venerata in un tempo in cui le campagne erano fragili e la malattia era una presenza vicina. Poi i simulacri della Madonna e di Sant’Antonio, figure amate dal popolo, protettrici delle necessità quotidiane. E sulle pareti, due quadri che raccontano non solo la fede, ma anche la vita del quartiere: i dipinti di San Giuda Taddeo e San Simone, opera del pittore Arnoldo Sidoli, un artista milanese che aveva casa proprio accanto alla chiesetta. È come se avesse voluto lasciare, lì, un pezzo del suo affetto per quel luogo.

La chiesa, costruita nell’Ottocento, non nacque con l’ambizione di essere grande: nacque per essere vicina. Ai contadini di Montesordo che, prima dell’industrializzazione, costituivano la spina dorsale del paese; alle famiglie che avevano bisogno di una presenza spirituale a pochi passi da casa; ai bambini che, crescendo, imparavano qui i primi segni di religione e di comunità.

Ogni anno, il 28 ottobre, la frazione si raccoglie ancora per celebrare i suoi patroni, Simone e Giuda. La festa è semplice, come la chiesa stessa: messe, canti, incontri, qualche bancarella. Ma è proprio questa semplicità che conserva il valore più grande: il senso di appartenenza.

La chiesetta dei Santi Simone e Giuda non è un monumento famoso, e forse proprio per questo riesce a parlare così chiaramente. Racconta la storia di un rione, delle sue persone, della loro fede concreta. È un piccolo scrigno che custodisce la memoria di Montesordo — una memoria fatta di gesti quotidiani, di tradizioni che resistono, e di quel calore discreto che solo le chiese di paese sanno trasmettere.


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